A tu per tu con Simone Marinai

Il destino ha la sua puntualità, per chi ci crede. Prendete il caso di Simone Marinai, costretto a saltare per squalifica la finale della Euro Winners Cup, ma autore del gol decisivo in quella che ha regalato, due mesi e mezzo dopo, lo scudetto al Viareggio. Da capitano. “Non si può spiegare la rabbia che ho provato per l’espulsione (doppio giallo, il secondo per simulazione, nella semifinale della massima competizione europea contro il Braga), un’ingiustizia che non mi ha permesso di giocare la partita più importante”. Ci ha messo un po’ ad assorbire la frustrazione per quell’episodio. Poi, il 7 agosto, la rete del “triplete”, su punizione contro la Lazio. Eccolo, puntuale, il destino. “Avevo un angolo di tiro ridottissimo, potevo soltanto calciare forte e cercare di far balzare il pallone vicino al portiere. Quel gol non è arrivato per caso”. Apice di un 2016 in cui il Viareggio ha messo le mani su qualsiasi trofeo. “Eppure per rendimento non è certo stata una delle mie stagioni migliori, anche perché avevo dovuto fare i conti con una fastidiosa pubalgia”. Simone Marinai è il capitano di un club fondato nel 2010 e che prima del “triplete” aveva conquistato una Coppa Italia nel 2012.  In precedenza, l’esperienza coi Cavalieri del Mare dei fratelli Fruzzetti. “Tra i compagni di squadra avevo Alan, Madjer, Belchior, Leghissa, potevo imparare molto da ognuno loro. All’inizio per me il beach soccer era un puro divertimento, mai mi sarei aspettato di ritrovarmi a ottenere tutto”. Col club. Con la Nazionale non ancora. Ma le coordinate spazio-temporali per conquistare ciò che di più prestigioso esista, sono già definite: Bahamas, aprile-maggio. Gli azzurri il loro guanto di sfida per i Mondiali lo hanno già lanciato. “Non temiamo nessuno, è una competizione che vogliamo provare a vincere. Possiamo. Le variabili sono infinite, tra queste la fortuna. Noi abbiamo 2 anni di esperienza in più, ci farà comodo”. Alcune ferite nell’anima si sono rimarginate, altre non si sono cicatrizzate. Il ricordo della semifinale persa ai rigori contro Tahiti nel 2015 è vivo. Fa male. Al tempo stesso, però, genera quella carica agonistica che non si può rappresentare, né descrivere. “Abbiamo imparato molto da quella sconfitta, da lì in poi ci siamo allenati duramente per cercare di riprovarci. Potevamo arrivare in fondo, ce lo saremmo anche meritato. Venti giorni prima dell’inizio dei Mondiali avevamo battuto il Portogallo (poi campione)”. Potesse, Marinai scenderebbe in campo immediatamente. “Il Brasile è la grande favorita. Portogallo e Tahiti sono tostissime”. Marinai ha esordito in Nazionale nel 2010 (“nell’impianto all’interno della stazione di Zurigo, contro la Svizzera, non è andata bene per noi”), diventando di quel gruppo una delle travi portanti, tanto da aver superato abbondantemente quota 100 presenze in azzurro. I Mondiali vissuti come un desiderio, non come un’ossessione. “Negli istanti che precedono l’inizio di una gara si provano sensazioni uniche, l’inno cantato a squarciagola, il tricolore davanti a noi”. L’orgoglio di giocare per la squadra della propria città e per la propria nazione. Non tutti possono, non tutti ci riescono. “A 28 anni sono felice di ciò che sono riuscito a raggiungere grazie al beach soccer. Ho ricevuto qualche offerta, ci ho pensato su, ma ho ritenuto più opportuno restare a Viareggio. Non so se giocherò per un altro decennio, o magari se un giorno farò come Rosberg. Lui il Mondiale (di Formula 1) lo ha vinto e ha scelto di dedicare più tempo alla famiglia e di non rischiare più”.